LIBERI PENSIERI 

Velocità della FIDUCIA

La parola “fiducia” deriva dal latino fidere, che significa “credere” o “confidare”. In greco il termine impiegato per definire la fiducia era areté, che poteva essere tradotto come “virtù” o “eccellenza”. Nella filosofia greca, infatti, l’areté era una qualità desiderabile che includeva la fiducia in sé stessi, l’integrità morale e la virtù personale.

La fiducia è descritta come un atteggiamento di tranquillità e sicurezza che deriva dalla convinzione che qualcuno o qualcosa corrisponda alle proprie aspettative, alle proprie attese e speranze; La fiducia è anche il prestigio, la buona fama o reputazione che caratterizza qualcosa o qualcuno. (Thesarus, 2018)

Inoltre, la fiducia risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni (Treccani) il che mette in evidenza quanto, a differenza della fede che è aprioristica accettazione di una credenza, risulti da un ragionamento complesso che, seppur strutturalmente viziato da distorsioni valutative (bias ed euristiche), coinvolge la memoria delle esperienze precedenti, la personalità e le circostanze del momento. Tutto ciò riguarda tanto la fiducia verso noi stessi, quanto la fiducia verso gli altri e la vita in generale, che ne sono in buona parte la proiezione.

Ma perché la fiducia è così importante per noi? E, aggiungo, perché lo è ancor di più oggi, in un mondo liquido, accelerato e disintermediato come quello imperniato sulle tecnologie della comunicazione?

Alla prima domanda possiamo rispondere con facilità: siamo esseri sociali, intrinsecamente bisognosi l’uno dell’altro, non solo per proteggerci in gruppo dai “pericoli” esterni, ma per “individuarci”, per permetterci di disegnare, in un continuo dialogo interno-esterno, il perimetro e la bellezza della nostra IDENTITÀ, della nostra specificità, unica e inimitabile. L’identità, infatti, è un “dono sociale” e si costruisce nella relazione, così come l’intelligenza del resto. In isolamento si verificano danni mentali incalcolabili e il cervello si atrofizza, così come abissali sono i danni dell’isolamento psicologico, della mancanza di feedback e di ri-conoscimento da parte dell’altro, dell’indifferenza… L’indifferenza è sicuramente uno dei mali peggiori della società attuale! E lo è ancor di più per il paradosso di verificarsi in una società esibizionistica, dove anche i frammenti più intimi della propria quotidianità vengono spudoratamente dati in pasto ai leoni da tastiera nell’arena dei social. Nel (vano) tentativo di essere visti, di essere riconosciuti e apprezzati e, di conseguenza ri-conoscere sé stessi, si finisce per perdere di vista proprio il soggetto. Si cercano identità “prêt à porter” per guadagnare consenso, dimentichi (o ignari) del fatto che certi processi sono lenti e faticosi, e mal si adattano alla velocità e alla facilità caratteristiche dei mezzi digitali. Un po’ come pretendere di vincere una partita a tennis con una mazza da golf… semplicemente lo strumento è sbagliato.

La fiducia, quindi, è la “proteina” essenziale per la creazione di noi stessi e per la “creazione” dell’altro, cioè del filtro attraverso cui lo osserviamo e poi lo riconosciamo: essa è il fondamento su cui edificare la nostra persona e il nostro progetto di vita e va coltivata con pazienza, ognuno al proprio ritmo, attraverso la reiterazione di esperienze positive che ci confermino che possiamo riporre fiducia nelle nostre capacità, nella buona fede altrui e nella bellezza intrinseca della vita.

Se non ci dedichiamo con cura e attenzione a nutrire la fiducia in entrambe le direzioni, interna ed esterna, non avremo altro strumento per “navigare” che il CONTROLLO… e vengo qui alla seconda domanda: perché la fiducia è così importante oggi, nel nostro mondo V.U.C.A. (volatile, Incerto, complesso e accelerato)?

Perché il controllo è “lento” e all’aumentare esponenziale della complessità, una parte “sufficiente” del controllo deve necessariamente cedere il passo alla “velocità della fiducia”, pena l’ingolfamento dei processi decisionali. Se pretendiamo infatti di governarli secondo il tradizionale paradigma del controllo, finiremo per invertire il fine con il mezzo: processi e burocrazia, da strumenti per garantire la governance, diventeranno al contrario obiettivi da perseguire a prescindere, per una sorta di rigore “ideologico” che nei fatti serve solo a tranquillizzare gli animi. E questo vale sia in ambito organizzativo che in ambito interpersonale, finanche intrapersonale.

E qui viene il paradosso: se vogliamo sviluppare e nutrire la fiducia per rendere processi e relazioni più agili ed efficaci, dovremo per forza rallentare il processo necessario a prenderci cura di “lei”, come fosse un bambino da nutrire e coccolare ogni giorno con amorevole pazienza, un seme da annaffiare quotidianamente in attesa che sbocci il suo fiore, unico e raro. Si tratta quindi di funzioni correlate in maniera inversa: più è lenta e paziente la costruzione della relazione di fiducia, più saranno veloci ed efficaci i processi e le decisioni implicati.

La fiducia “vera” quindi, in noi come nell’altro, si conquista sul campo e nel tempo, richiede l’incontro analogico e il contatto; non si crea sui social… In quel contesto si crea una fiducia “olografica”, di cui non abbiamo certezza e che può apparire o sparire a ogni pollice verso, generando disorientamento e malessere.

Chiudo con un pezzo memorabile del Piccolo Principe, di Saint Exupéry, sul tema dell’amicizia e dunque della fiducia, che racchiude in modo poetico ed esaustivo tutte le parole (forse anche troppe…) che ho scritto fin qui. Buona riflessione!

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